Attività per tutti. Nuovo appuntamento della rubrica “A casa… Giocando s’impara” promossa dal Museo di Storia Naturale di Livorno in collaborazione con coop.Itinera. In questa puntata faremo una visita “virtuale” all’interno di Villa Henderson: Marco ci porterà alla scoperta di alcuni luoghi insoliti, conducendoci in angoli della villa e del museo che solitamente i visitatori non vedono, ma che nascondono interessanti storie e curiosità: cosa si nasconde sotto la cupola sul tetto? E lo sapevate che nel giardino del museo c’è una vera e propria grotta? Un’occasione per esplorare insieme un lato “segreto” e poco conosciuto del nostro museo.
— Federica Falchini —
I secoli più splendenti per la città di Livorno, è noto, sono il Seicento e il Settecento. In quei secoli la città non smette di brillare sotto la potenza del porto e delle sue esotiche e preziose merci insieme alle quali arrivano in città popoli provenienti da ogni angolo del Mediterraneo che arricchiscono la sua giovane avventura di centro portuale.
Proprio nei primi anni del Seicento anche tanti artisti capitano a Livorno per lo più incisori, attratti dalla committenze ricche e potenti di ambasciatori o principi che richiedono vedute del porto e poi più tardi nel Settecento, fantastiche quanto irreali, vedute del quartiere della Nuova Venezia. Le incisioni del francese Jacques Callot e del suo emulo Stefano Della Bella sono quelle più conosciute e apprezzate oltre i confini toscani.
Arriva nella nostra città anche un artista fiorentino, Giovanbattista Bracelli, incisore e pittore, il cui lavoro forse più noto è il soffitto della Galleria di Casa Buonarroti a Firenze. Sappiamo ancora oggi pochissimo della sua vita e della sua arte, ma ci basta quel poco, per definirlo un genio del suo tempo, o se vogliamo, addirittura un precursore del surrealismo, cubismo e Dadaismo insieme. Una sorta di prodigio. Dimenticato per secoli dalla critica artistica dalla sua morte in poi, accade che nel 1963 Tristan Tzara, membro fondatore insieme ad altri del Dadaismo nel Cafè Voltaire di Zurigo, pubblica un fac-simile di un suo album di incisioni, stampato a Livorno nel 1624 e dedicato a Pietro de’ Medici.
L’attenzione che Tzara rivolge a Bracelli è significativa e puntuale, portandoci ad ammettere quanto sia calzante il rimando dell’arte di Bracelli con le avanguardie che stavano sconvolgendo il mondo dell’arte europea.
La preziosa pubblicazione s’intitola Bizzarrie di varie figure ed è a dir poco rara, ne esistono pochissimi esemplari, oltre che ignorata dalla critica ufficiale, fatta eccezione per uno studio del 1929 del critico d’arte Kenneth Clark. Si tratta di 50 incisioni raccolte insieme, ognuna delle quali mostra due figure umanoidi che si ‘affrontano’ in una sorta di duello danzante, o in una breve schermaglia teatrale.
L’iconografia del duello scherzoso proviene in questi anni dalla Commedia dell’Arte e si ritrova anche in alcune composizioni di Callot, ma è la fattura dei personaggi che travalica ogni aggancio sicuro con l’arte del tempo. Sono umanoidi, o comunque figure pseudo umane scheletriche robotiche fatte di cubi, fiamme, catene, ganci e perfino utensili da cucina. Uno scherzo, un capriccio seicentesco ma del tutto originale perché le figure di Bracelli sono veramente tante quanto è grande la sua fantasia. Unicamente Luca Cambasio aveva dipinto due figure ‘cubiste’ ma si era fermato lì e ad oggi ha una fama esageratamente superiore a Bracelli. Un artista la cui fantasia si può legare all’arte del Seicento, come lo solo le strane composizioni di Arcimboldo che mai però conobbe, e in grado di volare attraverso secoli, sotterraneo e silente, per ricomparire nelle astrazioni e figure dell’arte novecentesca più trasgressiva e innovativa.
Nuovo appuntamento della rubrica “A casa… Giocando s’impara” promossa dal Museo di Storia Naturale di Livorno in collaborazione con coop.Itinera. In questa puntata scopriremo insieme la vera storia della star del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo: Annie, il grande scheletro di balenottera comune conservato nella Sala del Mare. Per raccontare questa incredibile avventura abbiamo invitato un ospite d’eccezione Antonio Borzatti, conservatore del Museo, che ha vissuto in prima persona i fatti e che ci parlerà del salvataggio, del recupero e della musealizzazione della nostra amata balena.
Seguiteci sul sito del Museo di storia Naturale musmed.provincia.livorno.it e sul sito di itinera www.itinera.info, ci sarà presto un nuovo ed interessante argomento da esplorare insieme. Per maggiori informazioni
— Daniela Vianelli —
Livorno è una città che può vantare un passato e un’interessante storia legata al teatro.
ll primo teatro fu il San Sebastiano, o delle Commedie, realizzato alla metà del XVII secolo, trasformando poco più che uno stanzone in una cavea con tanto di palchetti suddivisi in 4 ordini bassi ed angusti. Un primo spazio scenico dunque, ubicato nelle immediate vicinanze di porta Colonnella, all’imboccatura del porto su progetto del capomastro Raffello Tenagli.
Pochi anni più tardi venne aperto, nella zona della Venezia, un nuovo teatro detto dapprima degli Armeni, per la vicinanza della chiesa omonima, poi degli Avvalorati, dall’Accademia che ne assunse la gestione. Inaugurato nel 1782 fu costruito per iniziativa dell’imprenditore Gaetano Bicchierai. Il nuovo luogo di spettacolo, rispondente alle esigenze sceniche e di rappresentanza della classe borghese, poteva vantare una sala con cinque ordini di palchi, mentre all’esterno, la facciata in rilievo evidenziava in modo elegante, la presenza in città di un vero e proprio teatro, tempio laico della borghesia al potere. Nonostante le buone intenzioni l’Avvalorati, dalla seconda metà dell’Ottocento, decadde progressivamente, insieme al decadere del quartiere della Venezia. Stessa triste sorte fu riservata all’altro bel teatro realizzato poco lontano dagli Avvalorati, ovvero il Teatro dei Floridi, sempre dal nome dell’Accademia omonima, detto poi comunemente San Marco, inaugurato nel 1806 nell’area risultante dalla lottizzazione del Rivellino di San Marco. Con i suoi 136 palchi rigorosamente suddivisi in cinque ordini, era uno dei più grandi e armonici d’Italia.
Le vicende del teatro ebbero alti e bassi; dopo un avvio intenso, con spettacoli di prim’ordine, il San Marco conobbe vari momenti di abbandono ciò comunque non impedì che nel 1921 la sua sala ospitasse il primo congresso del Partito Comunista Italiano, subito dopo la storica scissione del Partito Socialista presso il teatro Goldoni.
Un nuovo teatro, il Rossini, nella via dei Fulgidi, nome dell’Accademia che acquistò l’edificio e si occupò quindi della vita della sua attività, fu inaugurato nel 1842. Progettato da Innocenzo Gragnani, si caratterizzò sempre per la sua particolare eleganza, sia nel prospetto che nelle decorazioni interne e nell’articolazione degli spazi e nell’arredo. Si trattava di un teatro di modeste dimensioni, con 130 palchetti distribuiti in cinque ordini, che comunque ebbe una ricca programmazione spettacolare.
L’unico grande teatro ottocentesco che si è, possiamo dire, miracolosamente salvato dalla guerra è il Teatro Goldoni inaugurato nel 1847 su progetto dell’architetto Giuseppe Cappellini, su mandato dei fratelli Caporali. Il teatro, diurno e notturno, a somiglianza di quelli di Venezia e Trieste, era tra i più belli e grandiosi d’Italia. All’interno era stata ricavata una vasta sala destinata all’accademia Filarmonica, poi denominata comunemente Goldonetta, dove potevano essere realizzate delle rappresentazioni per un ristretto numero di spettatori.
Se il Rossini e il Goldoni nell’Ottocento erano stati concepiti come teatri salotto, un altro obiettivo era senz’altro alla base del progetto di un nuovo teatro costruito a Livorno nella seconda metà del secolo: il Politeama. Aperto nel 1878, l’edificio si presentava in toni modesti anche se non fu modesta la sua attività: infatti, in onore all’etimo esatto del suo nome, “molti spettacoli”, il Politeama ospitò un grandissimo numero di performance. La sua struttura, con un’intelaiatura di ferro, era stata concepita proprio per poter accogliere spettacoli di ogni genere: prosa, lirica, ma anche spettacoli circensi, permettendo anche l’esibizione di acrobati, attraverso un complicato sistema di trabeazione aerea, con tiranti. Per completare la rassegna dei luoghi di spettacolo della città non possiamo trascurare le arene, ovvero i teatri diurni, anch’essi come il Politeama, di stampo popolare, ma molto frequentate dalla cittadinanza, luoghi di spettacolo vitali e dinamici. Una prima arena, l’Arena Labronica, fu realizzata lungo i fossi, nella zona attualmente occupata dal Mercato Centrale, ad opera di due imprenditori, Giuseppe Balzano e Alesando Bagagli, che dopo averla venduta nel 1838 ne costruirono una seconda, tra via Montanara e via Curtatone, denominata Teatro degli Acquedotti, poi Arena Alfieri, in un’area più decentrata, lungo il viale dei Condotti Nuovi, attuale viale Carducci.
Nel 1863 fu inaugurata l’Arena Garibaldi, in via degli Asili, simile per struttura a quella di viale degli Acquedotti. Lo spettacolo di apertura fu realizzato dalla compagnia di Ernesto Rossi. Un inizio che poteva far ben sperare ma che invece non fu di buon auspicio, tanto che ben presto il teatro venne abbandonato, forse, come dice il Piombanti, per la posizione non molto felice.
Appare dunque evidente che il clima della città era decisamente favorevole agli spettacoli; il moltiplicarsi di spazi dedicati al teatro e la ricca offerta di programmazioni dimostra quanto la piazza livornese fosse uno dei luoghi di eccellenza di questa arte, una tappa d’obbligo delle più importanti compagnie.
— Giaele Mulinari —
Scrittore, poeta, commediografo, musicista e pittore di origine partenopea, conosciuto soprattutto per la sua attiva partecipazione al Futurismo e alla redazione dei Manifesti, inizia a 14 anni a comporre i primi versi, novelle, romanzi, a musicare canzoni nel più autentico stile napoletano, suonare il pianoforte, dipingere e scolpire. All’inizio del novecento nel fascicolo di spartiti Piedigrotta Cangiullo l’autore dimostra la sua propensa e qualificata inclinazione musicale tanto da farne utilizzare sei battute a Strawinsky nella famosa opera Pulcinella; nel 1912 la stesura delle prime Tavole parolibere da leggere e da vedere, sigla il sodalizio con Marinetti e segna l’inizio di una nuova ricerca formale fatta di invenzione libera e dissacratoria; nel 1922 la pubblicazione de Il Teatro della Sorpresa abbatte miti e tradizioni, sconvolgendo il pubblico con una scrittura scenica assolutamente nuova, composta da intrecci e figurazioni inaspettate.
I 4 carabinieri e Cavallo in corsa sono le opere di questi anni: da una parte lo sviluppo del calligramma che trasforma lettere e numeri in “pura mimica grafica”, dall’altro la collaborazione con Boccioni con il quale interpreta la ricerca del dinamismo attraverso pennellate forti, marcate, in grado di esprimere il ritmo dell’immagine. Poi nel 1924 l’allontanamento dall’avanguardia e il conseguente passo indietro.
Sebbene Cangiullo tornerà a stendere scritti sul Futurismo, il ricordo del passato diventa infatti una costante sempre più presente nei nuovi lavori pittorici imbevuti di tradizione e sentimentalismo, aspetti per i quali l’artista verrà accusato di passatismo e mercantilismo artistico.
D’altra parte, il forte legame con la sua città natale e l’attaccamento ai colori e alla gente del luogo rimangono per il pittore il punto di riferimento più importante a cui ancorarsi perché, pur vivendo con armonia il tempo della sperimentazione, Cangiullo non riuscì mai e in nessun modo ad “uccidere il chiaro di luna” professato dal Futurismo. E’ questo che lo fa tornare pittore figurativo e che lo induce a raccontare il quotidiano con un costante trasporto di fondo.
E sarà questo che gli farà amare come Napoli la somigliante Livorno, città nella quale visse l’ultimo ventennio della sua vita e che sentì da subito come “una terra amica, pronta all’affetto, apertamente marinara, di composto silenzio in alcune zone e di sommesso vociare in altre, esuberante e generosa”. Il popolo spontaneo che l’artista incontrò al suo arrivo e soprattutto l’amicizia con Mena Joimo ed Ezio Trassinelli, indussero Cangiullo a stabilirsi a Livorno nei primi anni sessanta dove, pur serenamente inserito, visse una vita appartata e non priva di difficoltà. Stregato da “questa terra di sole e di vento”, dai colori del cielo e naturalmente dal mare che ammirò, descrisse e dipinse con lo stesso affetto di quello partenopeo, espresse in questi anni il ritorno al figurativo in esempi di nature morte, vedute di quartiere, paesaggi e marine.
Anche con l’editore Gino Belforte, Cangiullo ebbe una profonda sintonia. Conosciuto nella libreria di Via Grande, dove venivano organizzati interessanti convegni ed incontri con gli autori, condivise con lui appassionati confronti culturali che portarono nel 1968 alla pubblicazione di F. T. Marinetti + [F.] Cangiullo = Teatro della Sorpresa, in cui i bizzarri contenuti del manifesto futuristico scritto molti anni prima vennero approfonditi e sommati a prose, poesie, canzoni e memorie mai edite fino ad allora. Gli ultimi echi futuristi tornano anche sulle tele. Negli anni settanta opere come Ritratto di Marinetti, Sogno, Auguri Tutto Natale, Mehenaah!, sono infatti, nel complesso, resoconto visivo delle due facce che caratterizzarono l’artista per tutta la vita: l’irriverente e stravagante sperimentatore da una parte e, dall’altra, l’innato sentimentalista, innamorato del mare, dei tramonti, della salsedine e degli affetti umani a cui mai volle rinunciare.
Francesco Cangiullo morì il 22 luglio 1977 a Livorno, al n. 6 di Piazza Modigliani.
Il Museo di Storia Naturale di Livorno a domicilio. In collaborazione con Coop Itinera.
A casa giocando s’impara: La tessitura preistorica
Attività per bambini e ragazzi dai 7 ai 10 anni
Nuovo appuntamento della rubrica “A casa… Giocando s’impara” promossa dal Museo di Storia Naturale di Livorno in collaborazione con coop.Itinera. Mettiamoci alla prova con l’antica arte della tessitura, una tecnica antichissima che possiamo realizzare con semplici strumenti anche a casa. Sin dalla preistoria gli uomini si vestivano con le pelli degli animali e realizzavano tessuti al telaio per coprirsi, erano capaci di realizzare corde e fili estraendo le fibre dalle piante. Seguite l’attività proposta da Barbara.
Seguiteci sul sito del Museo di storia Naturale e su questo sito, ci sarà presto un nuovo ed interessante argomento da esplorare insieme seguiteci per maggiori informazioni
- Laura Giuliano -
Sebbene la storia della Terrazza Mascagni sia abbastanza recente (1928), risale invece a molto più indietro nel tempo la vicenda dell’area su cui sorge.
Sin dal ‘600 la zona oggi occupata dalla Terrazza Mascagni era nota come Spianata dei Cavalleggeri per la presenza di un fortino utilizzato dalle truppe a cavallo che vigilavano la linea della costa da attacchi pirati o dallo sbarco di navi sospette.
La zona diventerà, nell’epoca della Belle époque, luogo ricco di divertimenti e attrazioni per i livornesi; risale ai primi del 1900 la realizzazione dell’Eden montagne Russe, un grande parco dei divertimenti attrezzato con giostre, ristoranti, birrerie, un cinematografo e un teatro dove si davano spettacoli di ogni genere.
In seguito alla prima guerra l’Eden Montagne Russe scomparve lasciando spazio ad una colonia elioterapica. Sembra che già in quegli anni fosse in progetto la realizzazione di un’ampia terrazza a mare per pubblico passeggio, effettivamente costruita tra il 1925 e il 1926 ed intitolata a Costanzo Ciano. Risale con ogni probabilità al 1935 la costruzione del bellissimo gazebo, un magnifico palco per la musica, realizzato su progetto dell’architetto Venturi, andato completamente distrutto durante l’ultima guerra. Dopo la sua completa ricostruzione la Terrazza fu dedicata al noto compositore livornese Pietro Mascagni che è ricordato in questa grande opera anche nel percorso stesso dei giardini, che in un punto particolare sembrano addirittura disegnare la forma di un violino.
Disponibile in versione completa anche su YouTube.
Un Viaggio Sentimentale. Identità culturali nel cuore del Mediterraneo.
Presentazione ed approfondimenti:
- A voce alta #culturadomicilio
- Undici voci per sei viaggi sentimentali nel Mediterraneo
- Il podcast sulla piattaforma Spreaker
A VOCE ALTA #culturadomicilio è una iniziativa per rompere l’isolamento fisico e culturale, in tempi di #iorestoacasa, che dà voce al romanzo di viaggio dal titolo “Un viaggio Sentimentale, identità culturali nel cuore del Mediterraneo”, scritto dall’autore Simone Lenzi ed edito nell’ambito del progetto Interreg S.MAR.T.I.C., di cui Coop Itinera di Livorno è stata capofila. Il racconto, ricco di fascino e di emozioni, prende vita in sei audio-racconti seguendo le tappe di un tour fuori stagione nelle cinque regioni comprese nell’area di cooperazione Sardegna, Corsica, Liguria, Var e Toscana alla scoperta di destinazioni fuori dai circuiti turistici tradizionali, luoghi dell’identità, di valore storico, artistico, culturale e paesaggistico. Un vero e proprio viaggio di cultura virtuale accompagnato dalle voci di undici attori e attrici livornesi, rappresentanti della cultura di questa città, che hanno aderito con passione all’iniziativa, mettendo a disposizione, gratuitamente, la loro sensibilità artistica.
Primo episodio: Un viaggio sentimentale. Un viaggio d’inverno. (Voce di Carlo Neri)
Secondo episodio: Francia, nel Var. (Voci di Giulio Graziani, Elena De Carolis, Gabriele Benucci e Carlo Neri)
Terzo episodio: In Liguria (Voci di Silvana Cocorullo, Claudio Marmugi, Carlo Neri)
Quarto episodio: In Toscana (Voci di Eleonora Zacchi, Riccardo De Francesca, Carlo Neri)
Quinto episodio: In Sardegna (Voci di Isabella Cecchi, Luca Salemmi, Carlo Neri)
Sesto episodio: In Corsica (Voci di Laura Cini, Emanuele Barresi, Carlo Neri)
Settimo episodio: Presentazione degli attori (tutti gli attori)
- Irene Corsi -
Il 31 luglio 1904 con una sfarzosa cerimonia a Livorno fu inaugurato lo stabilimento termale detto “Acque della salute”.
L’esistenza di acqua benefica presso Livorno era nota dal 1800: i livornesi la utilizzavano diffusamente contro i mali allo stomaco, ma il proprietario del terreno in cui sgorgava la sorgente, il parroco di San Pietro e Paolo, decise nel 1856, di costruire intorno ad essa una chiosco ottagonale, per limitarne l’uso.
Fu solo agli albori del 20 sec. che il professor Giovan Battista Queirolo dell’Università di Pisa, portò avanti studi scientifici che ne verificassero le proprietà terapeutiche. Il risultato positivo attirò le attenzioni dell’impresario genovese Zaverio Audisio, che investì cospicui capitali in una società che si occupò di realizzare lo stabilimento termale.
Tale operazione svolse un ruolo centrale per l’economia e lo sviluppo urbano dei primi decenni del Novecento, stimolando le attrattive turistiche nel settore termale, oltre a quello balneare.
Le terme avrebbero captato cinque sorgenti: Sovrana, Corallo, Valle Corsia, Preziosa, Vittoria.
Il complesso termale composto da tre strutture collegate da gallerie coperte, assumeva la configurazione di un’esedra, conclusa ai lati estremi da due chioschi ottagonali.
La progettazione del complesso fu affidata all’ingegner Angelo Badaloni, direttore dell’Ufficio tecnico del Comune dal 1874. Autore di maestose strutture ottocentesche come le Scuole Micheli e il Mercato Centrale, Badaloni seppe esprimere la matrice accademica ed eclettica con un sapiente e moderno aggiornamento di tematiche liberty, che resero tale struttura uno dei primi esemplari italiani di gusto liberty.
Bibliografia
- Francesca Cagianelli; Dario Matteoni, Livorno, la costruzione di un’immagine: tradizione e modernità nel Novecento, Livorno, Silvana editoriale, 2003.
- Giaele Mulinari -
Nel 1754 la tipografia di Antonio Santini e Compagni pubblica a Livorno il Magazzino toscano d’instruzione e di piacere, un periodico di durata triennale realizzato sul modello del magazine inglese e portavoce delle tendenze culturali e politiche italiane e europee. Sul frontespizio la marca tipografica, cioè il disegno spesso accompagnato da un motto che lo stampatore utilizzava per contrassegnare i volumi prodotti, rappresenta perfettamente l’idea di una Livorno inedita: sotto la fortificazione muraria e lo sguardo di Ferdinando I° che si erge a monumento simbolo della città, Pallade e Mercurio attendono in riva al mare una barca che trasporta un carico di libri. La dea della sapienza e delle arti e il protettore dell’eloquenza e del commercio aspettano pazientemente a riva lo sbarco di un nuovo sapere, quella cultura dei Lumi che di li a poco avrebbe fatto di questa terra mediterranea la sua più importante fucina di diffusione.
Nel contesto di tolleranza e libertà favorite dalla fine del Cinquecento con l’emanazione delle Leggi Patenti, Livorno diventa infatti nel Settecento uno dei centri più attivi nella produzione del commercio librario. D’altra parte, affacciata sul mare, dotata di un porto, circondata da vie fluviali che la collegano ai centri culturali di Pisa e Firenze, la città è fortemente agevolata nel trasformare il commercio dei libri nell’attività più ricca e fiorente di quegli anni. Inoltre, la nuova Legge sulla Stampa emanata da Francesco Stefano di Lorena nel 1743 che sanciva al potere statale la decisione definitiva di cosa potesse essere messo al torchio, sembra assecondare più che mai le intuizioni dei mercanti e degli artigiani labronici che presto danno vita ad una fitta rete di officine tipografiche.
In città gli stampatori si trovano ad operare in condizioni di estrema libertà a tal punto che qui si diffonde il fenomeno conosciuto come stampa alla macchia con cui pubblicare opere proibite altrove. Orfane del nome dell’autore o prive delle indicazioni editoriali, alcune vedono la luce per la prima volta; altre diventano protagoniste di coraggiose ristampe.
Emblematici l’esempio del Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, la cui editio princeps viene realizzata nel 1764 nella tipografia di Marco Coltellini allora operante nell’odierna Via Grande, e la terza edizione dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert, composta tra il 1770 e il 1779 dalla stamperia omonima, appositamente costituitasi in quegli anni alla guida del promotore Giuseppe Aubert. Opere simbolo dell’Illuminismo italiano e francese rappresentano entrambe il valore degli editori livornesi nella capacità di realizzazione di progetti ritenuti impossibili.
E se da una parte il merito del trattato del giovane marchese lombardo è soprattutto teorico e tale da portare il lungimirante granduca Pietro Leopoldo ad abolire la pena di morte in Toscana il 30 novembre 1786, dall’altra si aggiunge anche quello tecnico, compositivo e calcografico: composta di 33 volumi in folio, di cui 17 di testo, 11 di planches e 5 di supplementi l’edizione livornese del dizionario delle scienze, delle arti e dei mestieri appare infatti come un’opera di altissima qualità dove l’eleganza dei caratteri, l’armonia delle incisioni e la compostezza del testo si accordano perfettamente tra loro.