Museo Etrusco Mario Guarnacci
Il museo etrusco Mario Guarnacci di Volterra è uno dei più antichi musei pubblici d’Europa e rappresenta una collezione di antichità etrusche tra le più importanti che esistano. Monsignor Mario Guarnacci, da cui prende il nome il museo, fu uno dei più importanti collezionisti e antiquari del Settecento. Originario di Volterra, dopo aver trascorso parte della propria carriera ecclesiastica a Roma, tornò nella città natale e qui, preso dalla passione per le antichità, cominciò ad organizzare campagne di scavo nelle necropoli della città.
Nel 1761 volle che la sua collezione divenisse di proprietà della città e fosse perennemente a disposizione dei volterrani. Questa raccolta costituì il nucleo principale del museo etrusco.
Collocata inizialmente nel palazzo dei Priori, la collezione Guatnacci nel 1875 trovò sistemazione nel palazzo Desideri Tangassi. L’allestimento di molte sale conserva l’affascinante aspetto ottocentesco, lasciato con lo scopo di costituire una sorta di museo nel museo, per far comprendere ai visitatori quali fossero i criteri espositivi dell’epoca. La prima sezione, al piano terra, è dedicata al più antico insediamento del Colle di Volterra con alcuni reperti dell’Età del Rame e del Bronzo, si trovano i cinerari biconici e i corredi provenienti dalle necropoli delle Ripaie e della Badia Guerruccia, testimonianze del già vivace tessuto sociale che caratterizzò l’Età villanoviana di Volterra. In epoca villanoviana il tipo di rituale funerario più diffuso era l’incinerazione; il corpo del defunto veniva cremato e le ceneri raccolte in un vaso detto “biconico” proprio per la forma che ricorda due coni sovrapposti. Gli Etruschi credevano in una vita dopo la morte e pertanto, insieme ai resti del defunto, deponevano nella tomba gli oggetti personali che potevano essergli utili nell’aldilà. Gli oggetti deposti erano distinti in base al sesso del defunto. Quelli tipicamente maschili erano le armi, i rasoi e le decorazioni delle bardature dei cavalli. Nel caso di sepolture femminili troviamo gioielli, pettini, attrezzi per filare. Nella sala II si trovano lo splendido kyathos in bucchero con iscrizione da Monteriggioni e le oreficerie di Gesseri che sono parte del corredo di una tomba principesca, pervenuto al museo nel 1839 grazie al dono del vescovo Incontri. Accanto si trova uno dei monumenti più emblematici dell’età arcaica di tutta l’Etruria settentrionale: la Stele funeraria di Avile Tite, un guerriero rappresentato stante, di profilo armato di spada e lancia con iscrizione di dedica sul bordo. Si tratta di uno dei migliori esempi di rappresentazione di quella classe sociale dominante connessa al valore militare che lega a un’iconografia guerriera un linguaggio stilistico affine al repertorio delle stelle greco-orientali. Salendo alle sale del piano I troviamo esposte alcune delle urne più belle con rappresentazione di soggetti mitologici, alcune kelebai a figure rosse etrusche di produzione volterrana, il cratere di Montebradoni dell’omonimo pittore, le oreficerie ellenistiche più prestigiose della collezione. In questo piano vi sono anche i due grandi capolavori simbolo del Museo Guarnacci: l’Ombra della Sera e l’Urna degli Sposi. La prima è una delle opere bronzee più note di tutta l’antichità classica: si tratta di un bronzetto appartenente ad una tipologia di ex-voto diffuso dall’area laziale all’Etruria centro- settentrionale, caratterizzata da una tendenza all’allungamento della figura e a una sproporzione del corpo, tale da raggiungere le sembianze di un’ombra prodotta da luce radente. Le sue forme così allungate, lo sviluppo verticale dei volumi e la deformazione della struttura corporea rendono la statuetta incredibilmente vicina alla sensibilità “moderna”. La capacità dell’artista di restituire il modellato del corpo secondo una tendenza ancora naturalistica è unica nel suo genere; la testa del fanciullo, fortemente caratterizzata dalle lunghe ciocche dei capelli che scendono in un ciuffo piegato sulla fronte e sulle guance, assimila il bronzetto a modelli colti, di derivazione lisippea, del III sec.a.C. L’Urna degli Sposi è un coperchio in terracotta bisome in cui, cioè, l’uomo e la donna sono distesi a banchetto insieme.
Il livello qualitativo è altissimo nella realizzazione dei volti e nell’accuratezza dei dettagli.
Gli sposi esprimono nel loro sguardo incrociato un rigore statico e insieme la ferma volontà retrospettiva, sottolineata dalla solidità del vincolo familiare e dalla singolare scelta di un materiale “antico “: è l’emblema di una società etrusca, orgogliosa delle sue radici intimamente legata al proprio ethnos, nel momento in cui la città sta perdendo la propria indipendenza a favore della debordante potenza romana dopo l’assedio della città a opera di Silla nell’82 – 80 a.C. Al primo piano troviamo anche la sezione dedicata alla Volterra romana in cui è stata ricostruita una parte dell’iscrizione dedicatoria del grande teatro di Vallebuona in cui sono ricordati i due membri della famiglia Cecina che fornirono i mezzi per la costruzione dell’edificio. Tra ritratti imperiali e mosaici policromi, trova qui collocazione anche una scultura, recentemente restaurata, detta Prete Marzio: la statua di un uomo romano togato integrata con una testa non pertinente, che si trovava almeno sin dagli inizi del 1600 nel luogo anticamente indicato come Campo Marzio, da cui prese il nome.
Al secondo piano è allestita un’esposizione sull’artigianato artistico della Velathri ellenistica.
Qui le urne sono spiegate in modo analitico in tutti gli adpetti: la produzione, i maestri delle botteghe, le committenze, le scelte dei modelli e dei soggetti, i ritratti dei coperchi, i corredi tombali, fino alla riproduzione di una bottega di urne e alla ricostruzione di una tomba a camera.
Pinacoteca Civica ed Ecomuseo dell’alabastro
La pinacoteca civica di Volterra ha sede nel palazzo Minucci-Solaini che è uno degli edifici architettonicamente più interessanti della città. Fu costruito su commissione della famiglia Minucci alla fine del Quattrocento ed è addossato ed è addossato alle precedenti torri medievali. La parte rinascimentale del palazzo è attribuita ad Amtonio da San Gallo il Vecchio e presenta analogie di stile con il palazzo Strozzi e il palazzo già Guadagni del Cronaca a Firenze e il palazzo Piccolomini a Pienza. Dal 1982 è sede di quella galleria pittorica comunale ordinata da Corrado Ricci nel 1905 e fino ad allora ospitata nel Palazzo dei Priori.
La visita inizia al primo piano dell’edificio, il percorso è organizzato su base cronologica e costituisce un’interessante occasione per conoscere la diffusione dell’arte a Volterra tra XIII e XVI secolo con opere che raccontano la straordinaria vitalità culturale della città, toccata dalle correnti artistiche fiorentine, senese e pisane. Sala per sala, si scoprono conservate statue lignee, ceramiche medievali, un ricco medagliere e un assortimento nutrito di monete.
Tra le opere più iconiche della pinacoteca c’è sicuramente La Deposizione di Rosso Fiorentino, dipinta per la chiesa di San Francesco nel 1521. Questo quadro rappresenta un un’importante momento nella storia dell’arte italiana, quando pittori come il Rosso, cercarono di elaborare un nuovo canone pittorico che andasse oltre a ciò che era stato raggiunto con il Rinascimento. L’impressionante modernità dell’opera, ancora oggi percepibile, ne fa indiscutibilmente uno dei capolavori assoluti del manierismo. A testimonianza della raffinatissima arte senese c’e’ sicuramente la “Sala di Taddeo di Bartolo” che documenta alcune delle opere più significative che il pittore senese dipinse a Volterra tra il 1411 e il 1418. Colpisce tra le moltissime opere anche una grande pala centinata di Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio destinata alla Badia Camaldolese e voluta da Lorenzo de’Medici del 1492 dove sono riprodotte accanto a San Benedetto e San Romualdo, due Sante Volterrane, Attinia e Greciniana. Nella pinacoteca sono presenti due opere di Luca Signorelli, una Madonna con Bambino e un’Annunciazione entrambe dipinte nel 1491. Di elevatissima qualità pittorica, l’Annunciazione dipinta nel 1491, è uno dei quadri più rappresentativi dello stile artistico rinascimentale. La figura dell’angelo appena atterrato con le vesti ancora svolazzanti e la Madonna in piedi, in atto di ritirarsi, si compongono con l’architettura con un risultato di grande armonia. La raffinatezza delle figure, ferme in una posizione che ricorda la statuaria greca e romana, l’elaborata prospettiva che pare dilatare la scena e la minuziosa resa delle decorazioni e dei dettagli, sono le inconfondibili caratteristiche del Maestro da Cortona. Al piano superiore, due opere dell’artista fiammingo Pieter de Witte ci fanno entrare a pieno nell’arte moderna. Il Compianto e l’Adorazione dei pastori, dipinti tra il 1580 e il 1585, presentano al meglio questo pittore che seppe unire il classicismo fiorentino dell’ultimo Rinascimento con la componente fiamminga.
Ecomuseo dell’alabastro. Nello splendido contesto delle casetorri medievali della famiglia Minucci troviamo l’Ecomuseo dell’Alabastro nasce da un progetto di museo diffuso nel territorio della Provincia di Pisa che coinvolge le principali realtà locali legate alla tradizione artigianale ed artistica dell’alabastro: Volterra, Castellina Marittima e Santa Luce.
L’Ecomuseo si articola in due distinti itinerari territoriali che trovano riferimento in altrettanti musei tematici: l’itinerario dell’escavazione, documentato nel punto museale di Castellina Marittima, e l’itinerario della lavorazione e della commercializzazione, legato alla sede museale di Volterra. Nel museo sono raccolte le testimonianze della lavorazione e del commercio dell’alabastro, che per secoli sono state alla base dell’economia volterrana.
La pietra è conosciuta e lavorata fin dai tempi degli Etruschi, ma solo dal XVIII secolo esiste una vera e propria industria artigianale. Nel museo sono esposti vasi, sculture e oggetti e un ampio spazio è dedicato al design e alle opere d’arte realizzate in alabastro.
Palazzo dei Priori
Il Palazzo dei Priori è il più antico palazzo pubblico della Toscana. Costruito a partire dal 1208, si affaccia sulla piazza più importante della città. Il primitivo nome dell’edificio fu Domus Communis, ossia, Palazzo del Comune e fu utilizzato dagli Anziani come residenza. Gli originari ventiquattro Anziani nel 1283 si trasformarono nei diciotto Priori del Popolo per poi ridursi ai dodici Difensori del Popolo nel 1289. Il nome attuale del palazzo, dei Priori, si deve proprio al titolo che gli Anziani assunsero in seguito, sull’esempio di analoghe cariche del comune di Firenze. Il palazzo è costruito interamente in pietra e la facciata è ingentilita da cornici marcapiano ed è coronata da merli a semicerchio realizzati probabilmente nel XVI secolo. La facciata è decorata con targhe di terracotta invetriata che rappresentano stemmi di famiglie fiorentine: dal XV secolo, Volterra fu, infatti, governata da Commissari fiorentini essendo entrata nell’orbita della città gigliata. La struttura è sormontata da una torre pentagonale a due ripiani merlati, costruita intorno nel XVI secolo e in seguito ricostruita dopo il terremoto del 1846. Al primo piano si trova la sala più rappresentativa del Palazzo, la Sala del Maggior Consiglio che è completamente affrescata anche se della decorazione originaria sopravvive solamente un’ Annunciazione dipinta da Iacopo di Cione Orcagna nel 1398, mentre tutti gli altri affreschi furono realizzati nel 1881. Sempre all’interno si trova il dipinto dal titolo Nozze di Cana di Donato Mascagni e un soffitto ligneo di pregevole fattura. Altra opera a fresco è un Crocifisso e santi di Pier Francesco Fiorentino, datato 1490, posta al termine dello scalone che immette nella Sala del Maggior Consiglio. La datazione scaturisce dalla lettura di un’iscrizione molto lacunosa: “FRANCESCO GIOVANNI CAPITANO MCCCCLXXXX” . Nell’affresco si vede il Crocifisso al centro, perno della composizione, con ai lati, sulla sinistra la Madonna e inginocchiato san Francesco d’Assisi, mentre sulla destra san Giovanni Evangelista e inginocchiato san Giovanni Battista.
Teatro Romano
L’area archeologica di Vallebuona è uno dei più importanti siti ove è possibile comprendere l’evoluzione urbanistica e storica di Volterra, è un ampio spazio sulle pendici settentrionali di Volterra, poco oltre le mura che racchiudevano la città medievale.
La zona fu però coinvolta in epoca romana da un’intensa attività urbanistica, con la costruzione di un grande complesso monumentale composto da un teatro e da un impianto termale, costruiti in epoche diverse, di cui oggi è possibile visitare i resti.
Il teatro venne riportato in luce negli anni cinquanta da scavi archeologici condotti dallo studioso volterrano Enrico Fiumi: furono utilizzati come operai alcuni ricoverati dell’Ospedale psichiatrico di Volterra, come ricordato da una targa posta all’ingresso dell’edificio.
Il monumento viene datato tra l’1 e il 20 d.C e la sua costruzione venne finanziata dalla ricca famiglia volterrana dei Caecina, in particolare i consoli Gaio Cecina Largo e Aulo Cecina Severo, come ricordato dall’epigrafe dedicatoria del teatro stesso, conservata nel Museo etrusco Guarnacci. In analogia ai teatri greci il teatro di Volterra è parzialmente scavato nel pendio naturale di un’elevazione. Durante gli scavi sono stati rinvenuti vari sedili, realizzati in calcare locale, con ancora incisi i vari nomi dei rappresentanti delle famiglie più influenti della Volterra romana quali i Caecinae, i Persii e i Laelii. La monumentale frontescena era lunga circa 35 metri (122 piedi romani) ed era costituita da due piani collonati per un’altezza superiore ai 16 metri. Si trattava di un vero e proprio fondale scenografico che doveva elevarsi su due livelli, con un’architettura simile alla facciata di un edificio, nella quale si aprivano tre porte: la centrale detta regia e quelle ai suoi lati dette hospitalia utilizzate dagli attori per entrare e uscire dal palcoscenico ligneo. La tecnica edilizia utilizzata nell’edificio scenico è quella tipica di tutto il complesso teatrale, si tratta di una muratura con paramento in blocchetti parallelepipedi della pietra locale detta “panchino” e nucleo interno cementizio con scampoli della stessa pietra. I muri erano intonacati e probabilmente dipinti o rivestiti di pregiate lastre marmoree. A giudicare da quello che possiamo vedere oggi, grazie al restauro di questa parte avvenuto tra il 1976 e 1980, la decorazione della frontescena doveva essere ricchissima: con basi attiche di colonne in marmo bianco lunense, con capitelli corinzi decorati da corone di foglie d’acanto e ancora fregi, cornici, pannelli dipinti, intonaci, statue e iscrizioni.
L’orchestra era completamente pavimentata con lastre di marmo bianco e per raccogliere le acque piovane defluenti dall’auditorio, correva una canaletta (euripus) ai piedi della cavea che convogliava l’acqua nel sottostante sistema di fognature. Tuttora si può vedere il canale sotterraneo per la raccolta del sipario. Era detto auleum ed era costituito da una cortina di qualche metro di altezza fissata ad antenne mobili. Il sipario, raccolto nel fondo del canale, durante le rappresentazioni si innalzava a chiudere la scena durante gli intervalli.
Vi era anche un velarium, un telo sostenuto da 0 corde che copriva l’intera area del teatro, poiché rimangono tracce della struttura che lo sosteneva. Alla fine del III secolo il teatro venne abbandonato e in prossimità dell’edificio scenico venne installato un impianto termale.
In epoca medioevale le mura cittadine inglobarono il muro di chiusura della parte più alta delle gradinate (summa cavea).
Acropoli etrusca
Quello che è possibile ammirare nell’area archeologica dell’acropoli è quanto rimane di una grande ristrutturazione urbanistica e architettonica che coinvolse l’intera area in epoca ellenistica III-II sec.a.C. Gli edifici principali che spiccano sul resto del complesso sono due templi chiamati convenzionalmente tempio A e tempio B.Il tempio più antico (tempio B) è quello più a ovest e risale alla fine del III a.C. e si conserva solo in parte, al livello di fondazioni. In base a quanto è sopravvissuto possiamo comprendere che la sua architettura era di pura architettura etrusca. Si componeva di due parti: quella posteriore consisteva in una cella chiusa e quella anteriore era costituita da un colonnato. Il tempio si ergeva su di un podio e vi si accedeva tramite una scalinata di cui si conserva una parte. Il tempio A è databile intorno alla metà del II secolo a.C. e presenta una pianta allungata, si è in parte conservata la muratura del podio in pietra arenaria grigia. L’interno dell’edificio era costituito da una cella chiusa circondata da colonne e la parte frontale aveva una scalinata di accesso.
Da una cisterna più antica (pertinente al complesso del tempio B e inglobata nella costruzione del tempio A) era possibile attingere acqua sia dall’interno dell’edificio che dalla strada esterna. A questa fase appartiene anche un edificio costruito nel margine occidentale del pianoro che spicca per la ricchezza della sua decorazione. Una stanza era infatti rivestita da un affresco composto di pannelli con decorazione geometrica policroma, frutto del lavoro di maestranze di altissimo livello, che è possibile ammirare presso il Museo Guarnacci.
I due templi principali continuano, forse, a essere utilizzati anche in epoca romana, ma la zona cessò di essere frequentata nella prima metà del III secolo d.C.
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