— Giaele Mulinari —
Scrittore, poeta, commediografo, musicista e pittore di origine partenopea, conosciuto soprattutto per la sua attiva partecipazione al Futurismo e alla redazione dei Manifesti, inizia a 14 anni a comporre i primi versi, novelle, romanzi, a musicare canzoni nel più autentico stile napoletano, suonare il pianoforte, dipingere e scolpire. All’inizio del novecento nel fascicolo di spartiti Piedigrotta Cangiullo l’autore dimostra la sua propensa e qualificata inclinazione musicale tanto da farne utilizzare sei battute a Strawinsky nella famosa opera Pulcinella; nel 1912 la stesura delle prime Tavole parolibere da leggere e da vedere, sigla il sodalizio con Marinetti e segna l’inizio di una nuova ricerca formale fatta di invenzione libera e dissacratoria; nel 1922 la pubblicazione de Il Teatro della Sorpresa abbatte miti e tradizioni, sconvolgendo il pubblico con una scrittura scenica assolutamente nuova, composta da intrecci e figurazioni inaspettate.
I 4 carabinieri e Cavallo in corsa sono le opere di questi anni: da una parte lo sviluppo del calligramma che trasforma lettere e numeri in “pura mimica grafica”, dall’altro la collaborazione con Boccioni con il quale interpreta la ricerca del dinamismo attraverso pennellate forti, marcate, in grado di esprimere il ritmo dell’immagine. Poi nel 1924 l’allontanamento dall’avanguardia e il conseguente passo indietro.
Sebbene Cangiullo tornerà a stendere scritti sul Futurismo, il ricordo del passato diventa infatti una costante sempre più presente nei nuovi lavori pittorici imbevuti di tradizione e sentimentalismo, aspetti per i quali l’artista verrà accusato di passatismo e mercantilismo artistico.
D’altra parte, il forte legame con la sua città natale e l’attaccamento ai colori e alla gente del luogo rimangono per il pittore il punto di riferimento più importante a cui ancorarsi perché, pur vivendo con armonia il tempo della sperimentazione, Cangiullo non riuscì mai e in nessun modo ad “uccidere il chiaro di luna” professato dal Futurismo. E’ questo che lo fa tornare pittore figurativo e che lo induce a raccontare il quotidiano con un costante trasporto di fondo.
E sarà questo che gli farà amare come Napoli la somigliante Livorno, città nella quale visse l’ultimo ventennio della sua vita e che sentì da subito come “una terra amica, pronta all’affetto, apertamente marinara, di composto silenzio in alcune zone e di sommesso vociare in altre, esuberante e generosa”. Il popolo spontaneo che l’artista incontrò al suo arrivo e soprattutto l’amicizia con Mena Joimo ed Ezio Trassinelli, indussero Cangiullo a stabilirsi a Livorno nei primi anni sessanta dove, pur serenamente inserito, visse una vita appartata e non priva di difficoltà. Stregato da “questa terra di sole e di vento”, dai colori del cielo e naturalmente dal mare che ammirò, descrisse e dipinse con lo stesso affetto di quello partenopeo, espresse in questi anni il ritorno al figurativo in esempi di nature morte, vedute di quartiere, paesaggi e marine.
Anche con l’editore Gino Belforte, Cangiullo ebbe una profonda sintonia. Conosciuto nella libreria di Via Grande, dove venivano organizzati interessanti convegni ed incontri con gli autori, condivise con lui appassionati confronti culturali che portarono nel 1968 alla pubblicazione di F. T. Marinetti + [F.] Cangiullo = Teatro della Sorpresa, in cui i bizzarri contenuti del manifesto futuristico scritto molti anni prima vennero approfonditi e sommati a prose, poesie, canzoni e memorie mai edite fino ad allora. Gli ultimi echi futuristi tornano anche sulle tele. Negli anni settanta opere come Ritratto di Marinetti, Sogno, Auguri Tutto Natale, Mehenaah!, sono infatti, nel complesso, resoconto visivo delle due facce che caratterizzarono l’artista per tutta la vita: l’irriverente e stravagante sperimentatore da una parte e, dall’altra, l’innato sentimentalista, innamorato del mare, dei tramonti, della salsedine e degli affetti umani a cui mai volle rinunciare.
Francesco Cangiullo morì il 22 luglio 1977 a Livorno, al n. 6 di Piazza Modigliani.